Tira un vento forte a Baku, un vento che viene dal nord del mar Caspio, il lago più grande del mondo. Si chiama Khazri e rende le giornate della capitale dell’Azerbajan fresche e asciutte.

Là si dice sia nato Zoroastro, profeta di una religione poco conosciuta, oppressa dagli invasori, che costrinsero all’abiura o all’esilio i suoi adepti. Ma qualcosa, dell’antico culto del fuoco e del sole è rimasto, come il grande Tempio zoroastriano Ateshgah, un originario complesso architettonico appena fuori città, dove la sacra fiamma di Mazda viene ogni tanto riaccesa, più per i turisti che per amore del dio, perché la storia di Baku è da sempre legata al fuoco, alla ricchezza dei grandi giacimenti petroliferi che dal mar Caspio riforniscono le pompe di benzina nel mondo.

La città, 3 milioni di abitanti, sorge su uno stretto sperone di terra che si aggetta nel mare, ed è considerata una delle più belle di tutto l’Oriente. Conserva intatto il fascino del middle east, dei racconti di Kipling  e di Conrad, di Chatwin e di tutti i viaggiatori-scrittori che hanno sognato la magia del Caucaso. Fascino messo a dura prova dall’onda frenetica di modernità architettoniche, un nuovo vento più forte del Khazri che soffia sulla città per emulare le moderne babilonie del gusto, proponendosi come la nuova Dubai del mar Caspio. La città con qualche migliaio di anni di storia e un passato segnato dal modernismo sovietico, negli ultimi anni ha vissuto una vera e propria renovatio urbis che le ha consentito, attraverso una serie di architetture di grande effetto, di inventarsi un nuovo skyline, contemporaneo, grandi architetture che, almeno nelle intenzioni, non volevano tradire il genius loci della città.

I nuovi grattacieli e palazzi, costruiti per segnare le vie dello shopping popolate dalle boutique internazionali da gallerie d’arte che propongono nuovi talenti, affollati di ristoranti di tendenza per un turismo sempre in crescita, riprendono i motivi forti della cultura locale, ridisegnano le forme archetipe, rielaborano i motivi ornamentali che esistono da centinaia di anni. A dominare l’orizzonte urbano le Flame Tower, un’architettura flambant, di un naturalismo eccentrico (per non dire kitsch)  la cui forma richiama, manco a dirlo, le ricche fiamme dei pozzi petroliferi dell’Azerbajan. Qualche milione di led, sapientemente governati donano alle notti di Baku lo spettacolo di queste tre torri fiammegianti sempre cineticamente in movimento. Più Babele che Babilonia.

Ma Baku è anche terra di tappeti: Shirwan, Kuba, Kazak, Karciov, sono nomi che evocano i grandi bazaar d’Oriente, i caravanserragli del palazzo del sultano, meravigliosi tappetti di raffinate geometrie compositive che spesso si trovano nei dipinti di scuola olandese del XVII secolo.  Baku possiede  una poderosa collezione di tappeti caucasici, più di tredicimila pezzi di sfolgorante bellezza, che hanno trovato sede, traslocando dal vecchio e polveroso museo nel nuovo e efficiente Azerbajan Carpet Museum, opera del viennese Franz Janz , la cui forma è stata pensata e realizzata come quella di un tappeto arrotolato, dimenticandosi forse che l’architettura ha una sua forma propria e un suo linguaggio estetico che non può essere abbandonato per espressioni troppo didascaliche o pseudo-naturalistiche.

Dalla collaborazione di un artista caucasico, Altay Sadikh-zadeh, con il francese Jean Nouvel nasce invece il nuovo museo d’arte di Baku, un progetto che fa capo a una fondazione no-profit della famiglia del leader azerbajano. Come ogni grande metropoli che si rispetti anche Baku deve avere il suo luogo di culto dedicato all’arte, e chi meglio di di un grande architetto come Jean Nouvel poteva intercettare le giuste ambizioni del territorio azero?

Un altro progetto che segna il nuovo corso della capitale è il Baku Crystal Hall dello studio tedesco GMP, metà stadio e metà sala da concerti. L’edificio, collocato in una penisola appena fuori il centro di Baku, sulla riva del mare, si caratterizza per la facciata ricoperta da una miriade di Led che danno vita a uno spettacolare effetto di luce dopo il tramonto. La forma, fortemente simbolica, richiama la struttura cristallina del diamante, una Glass Architecture pensata inizialmente come una leggera struttura in acciaio per un evento temporaneo, che successivamente, in fase di costruzione, è stata modificata dai progettisti, per trasformare l’edificio in una architettura che possa resistere per almeno quarant’anni.

Infine gioiello della corona, l’architettura più riuscita della nuova Baku, che rapidamente sta assurgendo a nuovo simbolo urbano, progettata dall’archistar irachena Zaha Hadid: il grande complesso dedicato all’arte, alla cultura e alla musica che prende il nome dell’ex leader azerbajano Heydar Aliyev caratterizzato da un’onda  sinuosa, allusione al processo di continuità trasversale che unisce le varie espressioni del pensiero dell’uomo. Il centro che comprende una  biblioteca, un museo d’arte contemporanea e tre grandi sale pensate per ospitare concerti, performance teatrali e convention internazionali dalla sua inaugurazione è il simbolo del nuovo corsodel Paese, delle nuove aperture e dell’ambizioso tentativo di divenire il polo culturale dell’intera regione caucasica Ruolo che Baku è assolutamente in grado di sostenere per via delle sue grandi aperture culturali e mentali, secondo la sua  più famosa ambasciatrice, la giovane Leyla Aliyeva, artista, regista, direttrice di Baku magazine, (edito da Conde Nast UK), nonché figlia primogenita dell’attuale presidente azero*,: “ Baku è una città con dialoga con la sua storia antichissima, crocevia di culture tra Oriente e Occidente, dove convivono moschee, sinagoghe e chiese ortodosse, ma che ha anche una forte vocazione per la modernità: al di là delle sue magnifiche architetture e del suo skyline notturno, è un Paese dove le donne hanno diritto di voto dal 1918”.